In questa situazione difficile per tutti, i disabili continuano ad essere dimenticati e il terzo settore rischia di collassare. Le istituzioni prendano dei provvedimenti urgenti.
Francesca Di Maolo, Presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, lancia un forte messaggio alle Istituzioni che, nel corso dell’emergenza coronavirus, hanno totalmente dimenticato le categorie più fragili e le loro famiglie. Ma non solo, la normativa del periodo emergenziale penalizza in molti casi il Terzo Settore e tutta la sanità non profit.
«La drammatica emergenza sanitaria che negli ultimi mesi si è abbattuta sul nostro Paese e che si sta velocemente trasformando in emergenza sociale, ha messo in luce le numerose criticità irrisolte del nostro welfare, che sconta ormai da tempo una miopia cronica nei confronti delle categorie più fragili. In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, ci saremmo aspettati un potenziamento del Terzo Settore, che avrebbe potuto e dovuto giocare un ruolo cruciale nell’apportare, per esempio, supporto al sistema sanitario in affanno attraverso l’esperienza di figure professionali altamente qualificate, rappresentando un volano per l’intera economia nazionale», è l’appello lanciato da Francesca Di Maolo, Presidente dell’Istituto Serafico di Assisi.
«Le strutture sanitarie e socioassistenziali non profit sono state continuamente penalizzate. Anche se convenzionate con il SSN, hanno dovuto dotarsi autonomamente di tutti gli approvvigionamenti di mascherine, guanti e disinfettanti perché, specie nella prima fase d’emergenza, si è pensato alle sole strutture pubbliche. Queste strutture svolgono comunque un ruolo di fondamentale importanza e sono tutte impegnate in prima linea a contrastare l’emergenza coronavirus. Non stiamo parlando di piccole realtà, ma anche di Centri di riferimento nazionale nel campo sanitario, con esperienza a volte centenaria», spiega la Presidente Di Maolo.
«Ci chiediamo, quindi, se tutte le nostre strutture, i nostri operatori, le persone con disabilità di cui ci prendiamo quotidianamente cura siano invisibili, – prosegue Francesca Di Maolo. Anche a livello regionale abbiamo a che fare spesso con normative che disconoscono parte del terzo settore e ne abbiamo avuto prova in tutte quelle Regioni in cui, in attuazione dell’art. 48 del DL del 17 marzo 2020, si sono stipulati accordi solo con le cooperative sociali per l’attivazione di servizi sociosanitari e socioassistenziali, dimenticandosi l’altra parte del settore sociosanitario del non profit che non svolge le attività in forma cooperativa. Di questo passo si rischia di mettere in ginocchio il Terzo Settore, condannandolo per sempre all’irrilevanza, con gravi ripercussioni sia per migliaia di lavoratori, sia per la vita della popolazione più vulnerabile».
«Siamo stanchi di accettare passivamente che le categorie dei più fragili vengano costantemente dimenticate, l’intera collettività deve farsene carico, a partire da ogni livello istituzionale. La possibilità di erogare “servizi alternativi” andando in deroga a normative vecchie e assolutamente lontane dai bisogni delle persone con disabilità rappresenta una grande opportunità per riprogettare un welfare a misura delle persone. Per la prima volta ci è concesso di effettuare dei progetti personalizzati ed è questa la strada da perseguire per una vera ripartenza: superare la burocrazia e passare da un welfare che si basa sulla standardizzazione dei bisogni e dei servizi, ad un welfare che risponde con servizi differenziati ai bisogni della persona. Voglio avere fiducia nelle istituzioni – auspicando che non prevalgano quelle stesse logiche di contenimento della spesa che hanno caratterizzato gli interventi di assistenza sanitaria degli ultimi anni – e voglio sperare che sappiano finalmente riconoscere alle persone più fragili il diritto di sentirsi a pieno titolo parte della società. Dobbiamo trarre da questa pandemia una lezione da non dimenticare: non ci sarà progresso per nessuno se non sapremo prenderci cura delle persone più vulnerabili! E se vogliamo davvero creare nuovi posti di lavoro, creiamoli liberando energie e risorse per la cura delle persone. Questo non deve essere il momento di una nuova rivoluzione industriale, ma che sia l’ora della prima rivoluzione della cultura della cura», conclude la Presidente Di Maolo.