Il mondo sicuro costruito dagli infermieri
Si occupano dell’assistenza medico-sanitaria 24 ore su 24 gestendo urgenze, terapie farmacologiche e crisi soprattutto di natura epilettica: sono i dieci infermieri del Serafico, figure centrali nel garantire le cure e l’assistenza necessarie a bambini e ragazzi ricoverati. Un lavoro complesso il loro, dal momento che presentano patologie sempre più gravi. “Facciamo tre turni come in ospedale – spiega la coordinatrice, suor Lissy – coprendo anche le notti sempre con tre infermieri”. La presenza di medici specialisti interni, inoltre, richiede tutta una serie di attività specifiche. “Ci occupiamo di molti aspetti – aggiunge suor Lissy – dai prelievi ematici di routine, all’emogasanalisi, all’assistenza all’alimentazione con la Peg fino alla ventilazione con tracheotomia per arrivare alle urgenze che non sono rare”. “Il nostro è un lavoro di équipe con i medici con i quali comunichiamo costantemente e nel corso degli anni si è intensificato – aggiunge Gloria, infermiera al Serafico da oltre dieci anni – perché i ragazzi che entrano presentano patologie sempre più complicate”. Tra i compiti degli infermieri c’è quello di organizzare i trasporti nelle strutture sanitarie per effettuare esami o ricoveri: “Una parte importante del nostro lavoro, infatti, è quella di fare da collante tra i gruppi e i medici, in modo da segnalare cosa non va”. Perché, come spiega ancora suor Lissy, gli infermieri sono sempre presenti.
Fare l’infermiere al Serafico però è qualcosa di diverso rispetto alla normale professione. “E’ grazie a questo lavoro – racconta Gloria – che ho potuto costruire e gestire la mia di famiglia, cosa che non sarebbe stata possibile in altre condizioni. Certo, all’inizio è stato pesante: qui affrontiamo situazioni molto gravi e per le quali non si è preparati. Ma con il tempo capisci che c’è molto altro: le relazioni con i ragazzi, i rapporti con i colleghi; stare qui mi ha fatto essere una mamma migliore. I ragazzi ci donano tantissimo e abbiamo il tempo di creare qualcosa di unico con loro. I non vedenti capiscono subito chi hanno davanti anche se non ci facciamo sentire. Qualcuno ci chiama addirittura per nome. Certo, quando poi finiscono il percorso riabilitativo ed escono, con loro se ne va un pezzo di cuore”. Per suor Lissy, invece, tutto si racchiude in una parola: amore. “E’ un lavoro impegnativo e totalmente diverso da quello degli infermieri ospedalieri. Qui c’è l’amore di una famiglia verso i ragazzi. Non sono numeri ma nomi, per noi sono come dei figli. Con loro costruiamo un rapporto di fiducia e di affetto e anche se non possono vedere o sentire, sappiamo che ci riconoscono anche solo da una carezza, perché sentono che gli vogliamo bene”. A livello tecnico inoltre è molto complicato eseguire esami (come prelievi o elettrocardiogrammi) su persone che non collaborano o che hanno spasmi a causa delle malattie: “L’importante però è conoscere il ragazzo che si ha di fronte – aggiunge Gloria – Ed è per questo che quando arrivano nuovi infermieri facciamo un periodo di affiancamento. Questo non è un ospedale dove le persone vanno e vengono: qui i nostri ragazzi stanno per periodi molto lunghi e noi costruiamo un mondo sicuro attorno a loro e alle loro necessità speciali”.