DISCORSO DELLA PRESIDENTE FRANCESCA DI MAOLO A PAPA FRANCESCO
La presidente Francesca Di Maolo a Papa Francesco: “Al Serafico crediamo che dell’inguaribile ci si possa sempre prendere cura”.
Santo Padre,
siamo oggi davanti a Lei con tutta la famiglia del Serafico in occasione del 150° anniversario dalla fondazione della nostra Opera.
Siamo con una rappresentanza dei nostri ragazzi e dei loro genitori, con le persone che lavorano per loro, i volontari, i nostri sostenitori, i Padri Rogazionisti, che generosamente hanno gestito l’Opera per più di quaranta anni, e con le Suore Elisabettine Bigie, che nella sede storica del Serafico hanno continuato il carisma del fondatore attraverso l’Istituto San Ludovico da Casoria. Siamo con il Vescovo Domenico, padre premuroso per i nostri ragazzi, e con i francescani del Sacro Convento di Assisi che non ci fanno mai mancare l’assistenza spirituale.
Siamo emozionati, commossi e grati per questo incontro.
San Ludovico da Casoria inaugurò il Serafico il 17 settembre 1871 e lo dedicò a San Francesco, che negli ultimi anni della vita era quasi del tutto cieco e piagato dalle sacre stimmate.
La strada percorsa sino ad oggi non è stata sempre facile. Il Serafico ha attraversato due guerre mondiali, il terremoto del 1997 che colpì in modo grave la nostra struttura ed infine la pandemia da coronavirus, che forse ha rappresentato per tutti noi la prova più difficile.
Nel nostro lungo percorso al fianco della vita più fragile abbiamo sempre avuto chiaro quanto valga un essere umano: in qualsiasi circostanza e nonostante il limite e la malattia.
Questi 150 anni di vita sono stati un viaggio in mare aperto, spinti dall’amore sulla via della fraternità. Un cammino iniziato con la grande intuizione di San Ludovico di offrire un’istruzione ai bambini ciechi e sordi, che all’epoca non avevano accesso alla scuola, ed è proseguito fino ad oggi per rispondere ai bisogni di salute delle persone con grave disabilità, che spesso non trovano risposte adeguate nei servizi pubblici.
Padri e madri straordinari ci hanno insegnato a non arrenderci mai e sono stati la bussola del nostro cammino. Genitori che hanno bisogno di qualcuno accanto, soprattutto quando la sofferenza umana non dà tregua e le giornate diventano lunghe e difficili.
Nel nostro lungo viaggio abbiamo valicato anche i confini nazionali, raggiungendo nelle campagne del Kosovo bimbi disabili che in tanta povertà materiale e culturale non avevano possibilità di cure, spingendoci fino in Giordania, tra i profughi iracheni, per soccorrere la piccola Shosho che non sarebbe sopravvissuta senza una via di fuga protetta nel nostro Paese.
Giorno dopo giorno, accanto alla sofferenza, il carisma del nostro fondatore si è rinnovato, ma la missione del Serafico è rimasta sempre la stessa: rendere piena la vita dei ragazzi con fragilità.
La nostra missione a volte stride con la cultura dominante.
In tempi di crisi economica, a causa delle ristrettezze delle risorse, l’accesso ai servizi sanitari viene garantito in base ai risultati di salute che possono generare. È in atto una pericolosa deriva culturale, secondo cui “l’inguaribile è incurabile”. Questa conclusione è aberrante: dell’inguaribile ci si può sempre prendere cura! Accanto ai nostri ragazzi abbiamo imparato che anche in un corpo immobile c’è un’anima capace di volare se c’è qualcuno al suo fianco.
Non possiamo guardare alla salute come una sommatoria di funzioni biologiche, ma come salute integrale. Ci si ammala anche per mancanza di lavoro, istruzione, relazioni. Ci si ammala anche a causa della povertà e di un ambiente malato. Tutto è connesso.
In questi anni persone straordinarie che hanno scelto di lavorare al Serafico sono state le ali di tanti ragazzi. Sono silenziosi custodi della vita e inconsapevoli costruttori di giustizia e di democrazia.
Prendersi cura delle persone più fragili, non è mera assistenza, non è solo un atto di carità, ma è prima di tutto una risposta di giustizia. È riconoscimento della dignità di una persona che ha diritto non solo di sopravvivere, ma di vivere.
Amore e giustizia sono inseparabili.
Abbiamo il privilegio, ogni giorno, di poter posare gli occhi sui volti dei nostri ragazzi, che ci spalancano la porta del cuore. È proprio questa compassione, che non significa provare pietà, ma sentire l’altro nel cuore, che ci muove in modo inarrestabile.
Il Serafico non è un’officina dove si ripara una parte malfunzionante di una macchina. Certo, ci occupiamo della disabilità e del limite, ma il nostro impegno va oltre.
Il prendersi cura inizia prima dell’atto medico e assistenziale, nasce nella relazione, cresce attraverso i nostri sguardi e la nostra capacità di tenerezza. La cura si esprime anche nell’attenzione per la bellezza, la musica, l’arte, la preghiera, gli affetti e nell’attenzione per chi lavora al servizio delle persone fragili.
Siamo consapevoli che è nella vita di ogni giorno accanto al malato, al disabile, all’anziano e alle loro famiglie che la dignità di una persona, da mera enunciazione, può diventare parola viva.
Sappiamo che la nostra missione non può esaurirsi all’interno del nostro Istituto perché, oltre ad essere mani e occhi dei nostri ragazzi, dobbiamo essere anche la loro voce nella società.
Santo Padre, noi oggi vogliamo ringraziarLa per i suoi continui appelli sull’importanza dell’accessibilità alle cure. Il diritto per tutti all’accesso alle cure, al lavoro e all’istruzione sono i capisaldi su cui si fondano la democrazia sostanziale, la civiltà e il benessere di un Paese.
Ci sono tante barriere all’accesso alle cure per le persone con disabilità, che non sono soltanto tra le persone più svantaggiate, ma sono molto spesso anche le più dimenticate e questo, purtroppo, accade perfino nei servizi sanitari.
Viene spontaneo chiedersi: quanto vale per noi un essere umano?
L’iniquità nell’accesso alle cure è uno scandalo.
Le disuguaglianze di salute dipendono dall’organizzazione della società e possono essere eliminate.
Possiamo ritessere la nostra società solo con il filo della speranza, con gli occhi sulle piaghe dell’uomo ferito, che sono le piaghe di Gesù, mossi dall’amore che ci sorge spontaneo quando riconosciamo il nostro fratello, ma soprattutto con il coraggio che solo i più fragili possono insegnarci.
Santo Padre, alla scuola della fragilità, accanto ai nostri ragazzi, impariamo che la pienezza della vita è sempre possibile. Loro ci svelano una grande verità: la pienezza della vita si raggiunge solo nell’Amore.
Santo Padre, il Serafico porta il nome di San Francesco che si aprì all’Amore abbracciando il lebbroso, la persona sofferente e scartata. Noi oggi siamo qui, nel nostro 150° anniversario per ricevere ancora il Suo abbraccio. È l’abbraccio all’umanità ferita, il dono più bello che aspetta di essere condiviso.
Grazie Santità!
Francesca Di Maolo
(Foto Vatican Media)