Un amore lungo 19 anni
Diciannove anni di vita trascorsi al Serafico. Prima come educatrice nelle case-famiglia, poi nei gruppi residenziali. A seguire il lavoro con i bambini più piccoli e quello, di oltre tre anni, con il gruppo dell’età evolutiva (i ragazzi dai 6 ai 18 anni).
Ora Claudia Diracca è coordinatrice di residenza. Un lavoro che passa attraverso il confronto con tutta l’equipe di cui Claudia diventa anche portavoce in un rapporto di continuo scambio costruttivo con gli ambiti sanitari, educativi e riabilitativi.
Circa 15 persone, tra operatori socio sanitari ed educatori, che insieme costruiscono un progetto dedicato a ogni singolo ragazzo che inizia proprio con la cura quotidiana di ogni ospite, nell’ottica di renderli autonomi in base alle loro potenzialità. “Si inizia dal lavarsi le mani, al vestirsi, all’apparecchiare per poi passare al potenziamento cognitivo, alla manipolazione, fino al lavoro che viene svolto al tavolino”. Una complessità lavorativa che Claudia Diracca ha unito a un percorso di crescita personale:
“Ho terminato il mio percorso di studi nel 2020 e sono abilitata all’insegnamento. Come gli altri educatori ho seguito un corso per ottenere la qualifica con una formazione interna che è spaziata da temi come l’antincendio e la disfagia fino alla formazione laboratoriale”.
Un bisogno di formazione, quello di Claudia, emerso proprio durante il suo lavoro al Serafico. “Mi sono iscritta all’università a 25 anni, nel 2002, perché quando fai l’educatore con i nostri ragazzi percepisci quanto sia forte il bisogno di formazione. Anche i colleghi con cui entri in contatto ti insegnano e ti formano tanto”. Un posto di lavoro che è molto di più: “Io esco da casa per andare in un’altra casa perché in fondo con i miei colleghi trascorro il Natale, la Pasqua. Con loro, i ragazzi e le suore vivo esperienze uniche che non sono solo lavorative”.
Centrale il rapporto con i ragazzi, che diventano come dei figli. “Ci donano una gioia immensa e una grande forza nel vivere la loro quotidianità e noi cerchiamo di rappresentare anche il ruolo della loro famiglia perché quando tutte le sere sentiamo i loro genitori capiamo che ci hanno affidato la cosa più preziosa che hanno e noi siamo investiti della responsabilità morale che abbiamo nei loro confronti”.
Anche momenti difficilissimi come il lockdown si affrontano in modo del tutto differente. “Io ho sempre lavorato e al contrario di milioni di persone ho avuto il privilegio di non perdere il contatto umano che con i ragazzi non si è mai interrotto nonostante i dispositivi di protezione individuale. C’è chi ha vissuto quel periodo completamente solo, io l’ho fatto abbracciando i miei ragazzi”.